#Lasciamiandare: nostra intervista a Monica Marioni, autrice del progetto in mostra al MUST di Lecce

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Creare, suggestionare, evocare, trasformare, raccontare… questo e tanto altro è ciò che fa o tenta di fare “l’artista”, che più di ogni altro essere umano ha come “necessità” quella di manifestare, concretamente, il proprio pensiero.

Si conclude in Puglia e precisamente al Must, Museo storico della Città di Lecce il progetto/contenitore #Lasciamiandare dell’artista Monica Marioni, nata a Conegliano Veneto (TV) nel 1972.

Un’artista multidisciplinare, che inizia ad esporre i suoi lavori, prendendo parte ad una collettiva a Palazzo Crispi a Napoli. Seguirà la realizzazione di un’opera monumentale per un evento collaterale alla 53^ Biennale d’Arte di Venezia, “Ego” installazione e videoarte. Dall’astrattismo alla figurazione fino alla pittura digitale con “Ninfe” e “Io Sono”. Nel 2013 con “Rebus” ritorna al materico in tecnica mista e ancora, col progetto “Fame” pensato per Expo 2015 – Feed the Planet proporrà quadri, foto, installazioni e momenti performatici. Nel 2019 con “Hotel MO.MA” l’artista Marioni si avvicina all’arte più minimale e concettuale, installativa e performativa.

Abbiamo avuto il piacere di intervistarla e approfondire il suo “messaggio artistico”.

“Lasciamiandare” è il titolo del progetto inaugurato al MUST di Lecce lo scorso 8 Marzo visitabile fino al 10 Aprile, qual è l’idea progettuale e come si sviluppa?

È un percorso di mostra, un racconto in divenire. Parla di una relazione tossica e di tutte quelle dinamiche che la mente mette in atto a seguito di un trauma e attraverso disegni, video, installazioni e oggetti/opere, descrive un percorso di rinascita, un ritrovare l’equilibrio, la fiducia verso il prossimo e la serenità mentale. #Lasciamiandare nasce da un’esperienza autobiografica. 

La figura umana è l’elemento cardine, intorno a cui costruisce la sua opera. Lei è parte di essa o semplicemente la racconta?

Sono assolutamente parte di essa. Non descrivo la figura umana al di fuori di me, ma ritraggo una dinamica emotivo- psicologica che mi appartiene, con la consapevolezza che non sia “unica”, ma che altri individui possono provare le medesime vibrazioni. Io ho la volontà di tradurre l’emotività umana in un segno, un disegno, o in un atto performativo, quindi all’interno di ogni opera, ovviamente, c’è l’artista.

Da chi o da cosa trae ispirazione?

Dall’individualità umana, dalla psiche, che fa di determinati accadimenti subiti, un’indagine profonda e dettagliata.

L’uso della tecnologia facilità l’espressione artistica o la intrappola, rendendola di non facile lettura?

La tecnologia è un elemento in più, perché l’uso di cromie nuove, assolutamente inesistenti prima, consentono di esprimermi e creare. Qualsiasi strumento o situazione che possa in qualche modo aumentare le potenzialità espressive, a mio avviso, non può che essere un elemento positivo.

Quando mette in opera le sue creazioni artistiche, pensa anche ai possibili fruitori?

Nella fase di creazione di un’opera si può pensare al suo fine. Lo faccio quando preparo i quadri per una mostra in una galleria, negli ambienti di vita del collezionista. In questo caso, così come avviene quando eseguo dei ritratti su commissione, penso a chi sarà il fruitore finale, mentre quando fa parte della sfera più concettuale della mia arte, il pensiero è rivolto solo a come riuscire ad esprimere un concetto e attraverso esso, raccontare quello che “io artista” ho nella mente e nel corpo.

Lei è corpo attraversato dall’arte, scava nell’intimo e tratta temi sociali, può descrivere il suo stato d’animo prima e dopo la creazione di un’opera e di una mostra?

L’emotività che si attraversa è determinata dalla voglia di arrivare a realizzare quella visione offuscata, dell’opera concettuale o dell’atto creativo. Prima e dopo la creazione di un’opera si attraversano sempre vari strati emotivi.

Il progetto #Lasciamiandare è curato da Maria Savarese, in collaborazione con Maria Rosa Sossai e Igor Zanti, e il contributo dello psicologo Stefano Di Carlo. Quanto conta, per l’artista Marioni, lasciarsi guidare da professionisti?

Tutti occupano un ruolo ben preciso. Siamo una piccola impresa che porta avanti l’opera di Maroni, un team che lavora in sinergia. Nessuno guida, è un avanzare quasi collettivo, condiviso, un equilibrio, direi assolutamente necessario, quando si arriva ad un certo livello del “fare arte”.