La scienza procede per piccoli passi avanti, a volte di lato, qualche volta indietro: è il succo del metodo scientifico che presuppone il riconoscimento di una “verità”, ma solo fino a nuove dimostrazioni.
E’ il caso della mammografia, per la quale non tutti concordano sulla frequenza consigliata: la maggior parte degli specialisti consiglia di fare una mammografia all’anno oppure una ogni due anni. La discrepanza di pareri è dovuta proprio alla mancanza di verità assolute e immodificabili e ad una più che opportuna valutazione costi/benefici. Ricordiamo infatti che per la mammografia, come per la maggior parte degli esami di diagnostica per immagini, il radiologo irradia la parte con una dose, seppur piccola, di raggi X, la cui proprietà di danneggiare il DNA e quindi di indurre la formazione di tumori, è risaputa. Come risaputo è l’effetto “sommativo” delle radiazioni, con l’accumulo dei “danni” in caso di esami ripetuti.
E’ certo importante la precocità della diagnosi, ma a quale prezzo? Sottoponendo in modo indiscriminato e poco attento tutta la popolazione potenzialmente interessata, si scopriranno precocemente tumori, al prezzo però di far sopportare dosi di radiazioni a chi non si sarebbe mai ammalato. E un ragionamento simile può essere fatto rispetto alla vaccinazione, per la quale è necessaria un’altra valutazione a livello di popolazione più che di individuo.
Un recente studio scientifico prospettico condotto da alcuni oncologi, epidemiologi e biostatistici dell’Università della California, a San Francisco, e dell’Università di Washington, a Seattle sull’argomento (cfr. JAMA Intern Med. Published online March 18, 2013), ha verificato che le donne di età compresa tra i 50 e i 74 anni che si sottopongono a uno screening mammografico una volta ogni due anni, hanno un rischio di tumore allo stadio avanzato simile a coloro che fanno la mammografia tutti gli anni. E la probabilità di ottenere risultati falsi positivi (cioè immagini che sembrano tumori, ma che non lo sono, come confermato dall’esame post asportazione) è più bassa se la frequenza dello screening è minore.
Sono stati confrontati i rischi e i benefici dello screening biennale rispetto a quello annuale tenendo in considerazione, oltre all’età, densità mammaria e presenza di terapia ormonale per la menopausa, analizzando più di 931.500 donne, di cui quasi 11.500 con tumore al seno e circa 920.000 senza cancro mammario. Gli autori hanno calcolato che tra i 50 e i 74 anni, indipendentemente da eventuale terapia ormonale sostitutiva post-menopausa e densità mammaria, le donne possono sottoporsi a mammografia una volta ogni due anni, piuttosto che una volta l’anno, perché lo screening biennale non aumenta il rischio di malattia allo stadio avanzato e, nello stesso tempo, riduce la possibilità di falsi positivi e il ricorso alla biopsia. Invece, tra i 40 e i 49 anni e in presenza di elevata densità mammaria, le donne che decidono di ricorrere alla mammografia dovrebbero considerare quella annuale, per diminuire il rischio di tumore allo stadio avanzato, ma dovrebbero anche essere informate del fatto che lo screening annuale porta a una probabilità cumulativa più elevata di un risultato falso positivo.
Ovviamente rimangono valide le diverse prescrizioni per le categorie a maggior rischio, per esempio un pregresso tumore al seno o familiarità per esso.
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