Binari innevati, dormitori, cumuli di valige ed effetti personali, camere di disinfestazione, filo spinato, forni crematori: si tratta di un reportage in memoria di chi non ha superato l’odio, la fatica, il gelo nelle ossa. “È stato uno degli inverni più freddi e all’arrivo a Cracovia – ha raccontato il fotografo Paolo Emilio Arrighi – c’erano quasi 20 gradi sotto zero. Visitare il campo di concentramento di Auschwitz e il campo di sterminio di Birkenau è stato qualcosa di surreale, eppure maledettamente reale per le centinaia di migliaia di persone che lì hanno trovato morte e disperazione, torture e umiliazioni”.
Di grande impatto emotivo la visione di tutto ciò di cui i prigionieri venivano spogliati e ancor più doloroso il pensiero rivolto a uomini, donne e bambini inconsapevoli del proprio destino, come ha fatto notare lo stesso Arrighi “Attraversando i corridoi con i pavimenti consumati, così come le scale che accedevano ai dormitori, si potevano vedere cumuli di effetti personali, di giochi di bambini che lasciavano le loro case pensando di andare in vacanza, capelli tagliati a uomini e donne perché non avessero identità, montagne di scarpe, valigie, occhiali. Immortalare quei luoghi è stato come mettere “un filtro” tra me e la storia, per evitare l’angoscia e lo sconforto. Ho provato molta commozione”.
La mostra è diffusa in trenta luoghi inediti di Andrano, Castiglione, Spongano, Marittima e Diso. Le fotografie, tutte rigorosamente in bianco e nero, sono esposte con delle cornici e spiegate attraverso una didascalia e sono concepite come varie tappe di un racconto che si snoda tra piazze, rivendite di alimentari, bar, cimiteri, uffici pubblici, farmacie, cittadelle della salute, luoghi della cultura, bar, tabaccherie, insomma, tutti luoghi comuni. La modalità “diffusa” scelta per la mostra risponde a due precise esigenze: da un lato, l’esigenza di rendere il più possibile noti i suoi contenuti e il suo significato, arrivando anche ai più distratti, dall’altro, un’esigenza più pratica, legata al periodo di emergenza sanitaria che stiamo vivendo, quella di evitare la concentrazione in un unico luogo e i possibili assembramenti.
“L’Unione dei Comuni – ha spiegato il presidente Salvatore Musarò – ha inteso celebrare la Giornata della Memoria attraverso un’iniziativa di grande valore simbolico. Ricordare l’Olocausto significa testimoniare ancora oggi la verità di una tragedia che, seppur lontana nel tempo, ci riguarda da vicino […] Le vicende di questi giorni a Venturina Terme sono la prova di quanto questo risentimento verso gli ebrei si manifesti anche nell’Europa del XXI secolo. Ecco perché l’iniziativa dell’Unione serve a sollecitare nei cittadini il dovere della memoria. Dobbiamo mantenere alta l’attenzione su questo tema perché mai dovremo finire di preservare la dignità della persona umana e la sua libertà”.
La memoria diffusa è un ingrediente necessario per combattere il muro di pregiudizi e menzogne nei confronti del popolo ebraico e delle minoranze etniche, religiose e sessuali. Si tratta di un muro che si erge ancora alto e le numerose campagne di sensibilizzazione svoltesi in questi anni sembrano quasi non aver sortito l’effetto sperato, poiché, come mostrano i recenti fatti di cronaca, il popolo ebraico e tutte le minoranze continuano a essere vittima di offese e umiliazioni immotivate. Mantenere il ricordo impresso nella memoria di tutti è indispensabile per senso di dignità e giustizia nei confronti delle vittime e per far fronte alle sfide del mondo odierno, come la lotta per un mondo più equo e la creazione di società aperte e tolleranti, pronte ad accogliere le minoranze etniche, religiose e sessuali, facendo in modo che tutti possano riconoscersi nei valori comunitari. Ricordare è necessario al fine di non ripetere gli stessi errori, perché come sosteneva Cicerone, la storia ha un senso solo se è magistra vitae. Esporre nei luoghi frequentati da tutti nella quotidianità foto che ritraggono gli orrori della Shoah impedisce che essi passino inosservati anche agli occhi dei più disattenti, dei più impegnati o di coloro che pensano che ricordare sia una perdita di tempo, nella speranza di suscitare un momento di riflessione nella mente di ogni membro della comunità.