Nostra intervista al M° Uccio Biondi *, il quale nella mattinata dello scorso 22 Dicembre’22, ha donato l’opera dal titolo: “Ossolotomonto”.
Eseguita nel 2003 e definita dallo stesso artista “un’istallazione sotto forma di pittura”, rappresenta una donna contemporanea, indossa stivali neri, ha le gambe incrociale e le mani giunte, poste nella parte interna delle cosce ed è completamente dipinta di rosso, la sua bocca rotonda è cristallizzata nell’atto di emettere una “O” (da qui nasce il gioco-enigma del titolo), ed è seduta su una poltroncina da cinema, di colore verde. È accompagnata da tre maschere di donne guerriere, sostenute da lunghe stele di metallo. La stessa entrerà a far parte della CdAC, la collezione dell’Ateneo Salentino. Ricordiamo che già nel 1996 l’artista ha donato due opere pittoriche. La presentazione, introdotta dal prof. Massimo Guastella, docente di Storia Contemporanea presso l’Università del Salento, è stata preceduta, dalla performance “Respect”, un’azione creativa che si è svolta all’interno del chiostro del Rettorato di Lecce in piazza Tancredi 7, che ha visto la partecipazione di un nutrito numero di studenti UniSalento dei corsi di laurea in Storia dell’Arte, DAMS e Beni culturali, di docenti e personale tecnico dell’Università del Salento ma anche di studenti dell’Accademia di Belle Arte di Lecce. A dare il via all’evento è stato lo stesso M° Biondi, che utilizzando gessetti colorati e partendo dalle parole “chianche d’inciampo”, ha disegnato linee e tratteggi, così come hanno fatto tutti coloro che hanno partecipato, compreso il Rettore Fabio Pollice, che a conclusione della performance, ha sottolineato come “nel tracciare con i gessetti qualche figura o semplicemente qualche elemento, ognuno ha dimostrato come si possa contribuire a rafforzare l’idea di una nuova visione e trasformare la realtà, a partire dal proprio ingegno, creatività e passione”.
Da un ventennio le tematiche di genere fanno parte delle sue attività artistiche. Qual è la sua visione della donna oggi? E cos’è cambiato da quando, nel 2003, ha realizzato l’opera?
Sono stato già stregato dalla tematica alla fine della mia produzione pittorica figurativa (1980/84). L’ho ripresa alla fine degli anni’90 dopo un periodo aniconico e segnico materico. Sono un pittore che porge la scena alla terza dimensione. E così nei primissimi anni del nuovo millennio concepisco e realizzo tramite calchi umani dal vero i miei Simulacri muliebri. “Ossolotomonto” e le stesse maschere/ guerriere ne sono esempi significativi e contemporanei. Poi, è tutta una questione di presa di coscienza. Me lo sono sempre chiesto sin dal 1977 allorquando si condividevano nelle piazze le lotte per i diritti a difesa delle donne. Tutto ritorna. I miei lavori donati all’Università lo attestano, lo declamano. Di fatto oggi le donne non vivono più in uno stato di subalternità, per fortuna, bensì fanno della determinazione e del riscatto sociale un’arma, perché si rispettino i diritti contro i soprusi e le tirannie dilaganti. Oggi si scende nelle piazze. Finalmente.
Perché ha sentito la necessità di alterare la parola “Assolutamente”, trasformandola in “Ossolotomonto? Gioco a parte, che nuovo significato ne ha voluto dare?
Per realizzare un’opera pittorica o materica a terza dimensione o una installazione, non ho un bozzetto preliminare ben preciso. C’è un’idea e su quella muovo i passi del pensiero. Ho un mio personale vocabolario che tramutato in gesso, come in questo caso, diventa ossessione ironica, forza comunicativa e collante visivo. Ho realizzato un’opera in cui il corpo e dunque il volto deformato da un gesto è specchio di un malessere. Il suo confine è lo stupore, la meraviglia: un Oooooooh ad libitum. Questo dice ciò che succede e potrebbe accadere intorno a noi.
La sua è una donna comodamente seduta, eppure appare in movimento, come si evince dai capelli e dallo stesso volto, dalla bocca dalla quale sembra uscire un grido, ma cosa dice davvero questa donna?
Qui ci vedo la primavera del corpo, di un corpo normale che è lì per perdonarci e mai giudicarci. È come se tutto avvenisse in scena in un luogo laicamente sacro, quale il teatro, oppure come in questo caso il luogo della cultura per eccellenza: l’università. Il sospiro di un grido attraverso una semplice “O”, ci consegna una folla di messaggi. Questa donna, che in apparenza si adagia in poltroncina, non ha comodità. Tutt’altro. Ha per cuscino batuffoli di lana e spilli. È lì per consegnarsi alla visionarietà, è lì per segnalarci e insufflarci il suo disappunto, la sua insoddisfazione per tutti gli abusi e le violenze impunite.
La sua arte da pura espressione estetica ha assunto, con la performance, realizzata nel chiostro del Rettorato, un valore politico ed una funzione sociale, perché?
Le problematiche sociali, la forza dell’utopia, il senso alto della politica hanno accompagnato il mio lavoro d’artista sin dagli esordi, a partire dal 1973. Giovanissimo “io” nel secolo scorso. A partire dalla figurazione tout court, sino alle mie installazioni intermediali (non ultima quella ordinata in mostra nel Castello Dentice di Frasso a Carovigno “Durch Den Kamin” realizzata nel 2006 per il Treno della Memoria). Ogni intervento culturale, ogni mia mostra personale è accompagnata da un’azione performativa a testimoniare il valore politico ed evocativo che la forza dell’arte può offrire. Così è stato per “Respect – pietre d’inciampo” magistralmente compiuta dagli studenti. Tutto diventa scena in una sorta di azzardo in cui vengono ad incontrarsi in uno iato profondo l’arte, quindi il gettito culturale, e quel livello “alto”, perché solo l’utopia può arricchire di significati la nostra vita di attori del tempo d’oggi. L’artista non può né deve avere aureole. Deve solo decidere da che parte stare. La vita è la strada da percorrere. Brutta o bella che sia. E con essa a braccetto l’arte e l’essenza della sua cultura.