Patrick Zaki il 5 luglio a Lecce: le torture, la prigionia nel racconto di chi ha rischiato di impazzire

0
103

È in occasione della XVII Giornata Internazionale a sostegno delle vittime di tortura che si è tenuto ieri, 5 luglio, a Lecce, presso Masseria Tagliatelle, un dibattito sul tema, che ha visto tra gli ospiti la speciale testimonianza di Patrick Zaki.
Incontro moderato dalla giornalista Veronica Valente.

Patrick Zaki ha raccontato la sua esperienza – cruda e profonda allo stesso tempo -, col fine principale di sostenere la lotta contro la tortura: un’esperienza – quella del dottor Zaki – grazie alla quale si è incrementato il dibattito sul tema dei diritti umani.

Organizzato e fortemente voluto da Amnesty International e Antigone Puglia, l’evento si è rivelato un punto di confronto umano prima ancora che politico, giuridico e sociale, grazie agli interventi del dott. Antonio De Donno, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi, e del dott. Mauro Palma, Presidente dell’European Penological Center presso Università di Roma 3.

Il 7 feb 2020, Patrick Zaki, studente egiziano presso l’università di Bologna, ritorna a casa, a Il Cairo. Una volta atterrato si perdono le sue tracce per 24 ore; in realtà la detenzione durerà quasi due anni, e terminerà con la grazia, concessa dal presidente egiziano Al-Sisi nel 2023.
Patrick racconta la sua durissima esperienza nel libro Sogni e illusioni di libertà (ed. La nave di Teseo, 2023); ‘ansia solitudine speranza’ sono le parole che hanno accompagnato la sua prigionia. L’incontro è proseguito tra le parole di un vissuto di dolore che insegna, paradossalmente arricchisce e diventa spunto di riflessione per le Istituzioni e per la società tutta.

“Presero ogni mio oggetto – racconta Zaki – orologio, occhiali, bagagli. Fui portato in una stazione di polizia, spogliato di tutto. È una pratica che viene usata sistematicamente, col fine di escluderti, isolarti dal mondo esterno, dove nessuno deve sapere cosa sta succedendo a te. […] Mi chiedevano perché mi occupassi di diritti umani in italia, quella era la domanda ossessiva.
I passaggi peggiori li vivevo quando l’idea di diventare pazzo si faceva strada in me; e questo accadeva perché vedevo altra gente perdere la ragione. Dopo aver passato parte della detenzione in solitudine, arrivai in una cella con un prigioniero che per un anno e due mesi era stato completamente solo.
Aveva realizzato dei disegni sul muro, raccontava che fossero i suoi amici e colleghi, e li capì che si può impazzire.
Quando sei in prigione ogni secondo vale un anno. Il fatto di non avere risposte alle molteplici domande mi soffocava e il nemico diventava anche il tempo”.

Patrick sottolinea che la tortura precede la prigione, è qualcosa che mira ad annientare psicologicamente prima ancora che fisicamente. Le milizie egiziane non si fanno scrupoli quando si tratta di reprimere la libertà di pensiero; tuttavia Patrick, da un uomo “libero”, non ha avuto paura, ed ha pagato provando sulla propria pelle il dolore e l’umiliazione di percosse, scosse elettriche, maltrattamento, costretto a vivere in celle piccolissime senza avere cognizione del tempo: quanti diritti vengono meno? Le parole di Patrick Zaki arrivano dritte a chi le ascolta, come se la sofferenza patita la si potesse toccare con mano. La voce del dolore giunge nitida all’uditorio e fa comprendere quanto proprio da questa sfera di umanità bisognerebbe ripartire per tentare di costruire una società fondata innanzitutto sul rispetto dei diritti umani.

Toccanti gli ultimi spezzoni dei ricordi di Patrick: “Iniziarono ad arrivarmi lettere da bambini e da studenti, piene d’affetto e di auguri di potermi vedere presto libero: erano per me messaggi di forza e di speranza, grazie ai quali non ho mai perso la fiducia nella possibilità, un giorno, di ritrovare la libertà. Oggi il mio sogno più grande è la pace, vorrei che finisse lo spargimento di sangue e il genocidio del popolo palestinese. E, per quanto riguarda me, vorrei terminare il mio dottorato e insegnare all’università di Bologna”.