Da poche ore circola la notizia dei nostri connazionali liberati in India. La storia inizia nel Febbraio del 2010 a Varanasi, città sacra dell’India, famosa meta turistica. Tre amici, Tommaso Bruno, Elisabetta Boncompagni e Francesco Montis, condividono la stessa stanza d’albergo.
Una mattina Checco, non si sveglia, Elisabetta e Tommaso con l’aiuto del personale dell’albergo portano l’amico in ospedale ma il medico non farà altro che constatare il decesso per asfissia da strozzamento. Da qui il calvario dei nostri connazionali. Vengono arrestati e detenuti senza un processo e, senza sapere in base a quali prove, vengono accusati di omicidio. Dopo 18 mesi di detenzione, in condizioni che non rispettavano nessun minimo requisito di dignità e rispetto umano, vengono processati e condannati in primo grado all’ergastolo. Il pubblico ministero aveva chiesto anche la pena di morte dei due ragazzi per impiccagione in quanto Checco era il fidanzato di Elisabetta e si alludeva ad un omicidio passionale. Il fatto che una ragazza condividesse la stanza con due ragazzi non è normale, almeno in India. Il fatto che uno dei due ragazzi fosse morto portava a pensare che l’omicida avesse una relazione intima illecita con Elisabetta. Questo lo si apprende dagli atti processuali, sono le motivazioni che hanno portato alla detenzione dei due ragazzi. Inoltre, fatto a dir poco curioso, si scopre che il medico che ha fatto l’autopsia era un’oculista e non un’esperto in medicina legale!
Dopo anni di sofferenza, ricorsi e polemiche la stessa Corte Suprema indiana ha deciso di annullare l’ergastolo. Dopo 4 anni di sofferenza Tommaso ed Elisabetta tornano liberi.
Naturalmente la mente ci porta subito ai nostri Marò, la vicenda non è collegata, ma le analogie si possono trovare.
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